Estratto dal libro «Schegge di vita etica»

INDICE DELLE VOCI

Capitolo I

La cultura nel corso dei secoli

            Dall’umanesimo all’età contemporanea

Capitolo II

La cultura moderna

            Venuta meno dei valori

Capitolo III

La cultura cristiana

            Immutabilità dei valori cristiani

            Il bene comune nella cultura cristiana

            Persona umana e cultura cristiana

            Radici cristiane dell’Europa

Capitolo IV

L’etica

            Cenni storici

            Etica cristiana ed etica laica

            Ordine etico e ordine giuridico

            L’etica individuale e sociale nel pensiero di Bertrand Russell

            Formazione di una coscienza etica

            Responsabilità morale

            Etica comportamentale

            Crisi di valori e possibili rimedi

Capitolo V

La legge morale e la legge codificata

            Peculiarità della legge morale

            Peculiarità della legge codificata

            Incodificabilità dei valori etici

            Posizioni integraliste

Capitolo VI

Legalità e giustizia sociale

            L’egualitarismo costituzionale

            La legalità nella vita sociale

            Qualche riflessione sulla situazione politica

            La funzione della giustizia sociale

Capitolo VII

La trasgressione

            I campi di osservazione

            Modi e scelte di vita razionali e non razionali

            Via trita, via tuta

Capitolo VIII

I valori umani e i valori morali

            I lineamenti dei valori umani

            I lineamenti dei valori morali

            Diritto naturale e valori comuni

            Stravolgimento dei valori tradizionali

            Devianze sociali

Capitolo IX

Il bene

            Concetto di bene comune

            Concetto di bene

            Il bene e il giusto

            Il concetto di bene nell’etica laica e nell’etica cristiana

Capitolo X

Il male

            Dalla Patristica all’età contemporanea

            Il male nel contesto moderno

            Il male causato da altri e da noi stessi

Capitolo XI

L’immagine del male nella religione cristiana

            Male e libero arbitrio

Capitolo XII

La teoria di Rée sull’idea di bene e di male

            Ordine sociale e coscienza individuale nel pensiero di Rée

Capitolo XIII

Maturazione di una coscienza planetaria

Manifesto nello spirito della coscienza planetaria

Capitolo IV

L’etica

Il termine etica (deriva dalla voce greca êthos – costume, comportamento) indica l’idea e il fondamento del dovere e della virtù, della ricerca di ciò che è bene per l’uomo, della riflessione su ciò che è bene fare e non fare.

Più comunemente, l’etica è il complesso delle regole dell’agire umano, dei principi generali di contegno individuale e pubblico, da cui deriva il modo di comportarsi in base a ciò che è il bene, il giusto, la cosa più corretta.

In campo filosofico, l’etica è intesa come studio della moralità degli atti umani, considerato sotto un triplice aspetto:

  • descrittivo, si occupa del comportamento umano, di come e in base a quali principi le azioni umane vengono condotte;
  • normativo, investe i principi e i valori che guidano l’agire umano;
  • applicativo, si occupa della traducibilità in contesti determinati dei principi e dei valori che ispirano le scelte.

L’etica si dice

  • soggettiva, se si occupa del soggetto che agisce, a prescindere dalle sue azioni od intenzioni;
  • oggettiva, se l’azione si relaziona ai valori comuni o al sistema istituzionale.

Infine, l’etica si occupa anche di quello che possiamo definire il senso dell’esistere umano, cioè del significato profondo etico-esistenziale della vita del singolo.

Va detto peraltro che l’etica è tutt’altro che una scienza esatta, per cui non si può pretendere da essa il rigore e la precisione che si richiede nelle materie scientifiche. Ne consegue che le dimostrazioni etiche non sono sempre valide ma si limitano ad esserlo per lo più.

Cenni storici

Lo studio dell’etica risale alla sofistica, secondo cui le leggi e la morale sono convenzioni che dobbiamo creare per il buon vivere civile. Secondo il relativismo morale dei sofisti, il singolo individuo è capace di individuare criteri di giudizio sul grado di bontà di propri o altrui atti, capacità che, in ambito pubblico, è propria degli organismi che rappresentano l’intera comunità di cui i singoli individui fanno parte.

Nel pensiero di Socrate (ca. 469-399 a.C.), l’uomo prima di agire deve sentire la voce del demone che si trova nella propria anima, la quale costituisce la personalità morale di ognuno. In ogni caso, però, le regole di carattere sociale, nel pensiero di Socrate, non possono essere lasciate ai singoli, al variare delle opinioni e delle situazioni, ma devono essere di carattere generale. Tale idea di Socrate è precorritrice del principio generale sulla necessità che le singole società civili si dotino di un proprio ordinamento giuridico, a cui tutti devono sottostare, principio mai venuto meno corso del tempo.

Nel pensiero di Platone (ca. 427-347 a.C.), il bene è un’idea immutabile, eterna, oggettiva, paragonabile simbolicamente al sole che, con la sua luce, dà visibilità alle cose, dà intelligibilità alle idee, in modo da essere capite; e come il sole con la luce dà capacità visiva all’occhio così il bene dà intelligenza, capacità di capire all’anima (Platone, Repubblica, VI, 508 e segg.).

Nel pensiero di Aristotele (ca. 384-322 a.C.), il bene è la somma perfezione, è ciò che l’uomo mette in atto nel suo comportamento concreto (Aristotele, Ethica nicomachea, I). La felicità costituisce il sommo bene, consistendo nella realizzazione della natura dell’uomo, che però non può essere disgiunta dalla dimensione sociale, quindi l’etica si connette con la politica e l’uomo è animale politico che solo nella società può realizzare completamente la sua natura. Aristotele distingue poi due specie di virtù: quelle dianoetiche, legate alla conoscenza, e quelle etiche o razionali, che dipendono dall’uso della ragione. Attraverso le virtù etiche l’uomo diventa virtuoso scegliendo il giusto mezzo tra gli estremi, ad es.: il giusto mezzo tra la temerarietà e la viltà è il coraggio; il giusto mezzo tra l’avarizia e la prodigalità è la liberalità. Il fine dell’etica, sostiene Aristotele, «è il raggiungimento di una condizione di armonia e di benessere».

Più in generale, le prime scuole di pensiero sul senso della vita, che si propongono di affrontare i correlati problemi etici, in epoca pre-cristiana sono:

  • l’Epicureismo, che ripropone un’etica individuale e considera il piacere come uno scopo dell’esistenza umana;
  • lo Stoicismo, che ipotizza un atteggiamento di vita improntato al disinteresse nei confronti del piacere e del dolore, finalizzato al raggiungimento dell’atarassia, all’assenza di turbamento;
  • il Cinismo, che evidenza il legame tra piacere e dolore e l’interesse umano per le realtà puramente materiali.

L’avvento del Cristianesimo ha segnato un arresto della tradizione filosofica greca, sia per quanto riguarda l’idea maturata sul senso della vita sia quella maturata sull’etica, ed ha espresso un messaggio non solo innovativo ma rivoluzionario sotto ogni profilo.

Di grande rilevanza è stato il contributo della Patristica cristiana e nondimeno quello dell’intera filosofia medievale, in particolare della Scolastica, in primis del filosofo e teologo francese Pietro Abelardo (1079-1142), del teologo francese Bernardo di Chiaravalle (1090-1153), del teologo italiano Gioacchino da Fiore (1130-1202), del grande filosofo e teologo San Tommaso d’Aquino (1225-1274).

Con il giusnaturalismo la dimensione dell’etica si intreccia di nuovo con quella politica e l’indagine è nuovamente rivolta alla natura dell’uomo. Il giurista e filosofo olandese Huig de Groot (italianizzato in Ugo Grozio, 1583-1645), considerato l’iniziatore del giusnaturalismo, sostiene che il diritto naturale si fonda sulla natura razionale dell’essere umano e sostiene altresì che solo in una società giusta ed equa l’uomo può essere realmente virtuoso.

Altri grandi interpreti del giusnaturalismo furono: Thomas More (italianizzato in Tommaso Moro, 1478-1535), la sua opera più famosa è L’Utopia (lett.: luogo felice inesistente), in cui descrive con una satira sferzante un’immaginaria isola abitata da una società ideale; Jean Bodin (1530-1596), che nella sua opera Six livres de la Republique esalta la sovranità dello Stato, come massima autorità, sottomessa però alle leggi naturali della moralità; Johannes Althusius (italianizzato in Giovanni Altusio, ca. 1557-1638), famoso soprattutto per la sua opera Politica Methodice Digesta, ove per primo affida la sovranità al Popolo non allo Stato, opera considerata l’atto di nascita del diritto pubblico moderno.

Ma sarà solo il pensiero filosofico del XVII sec., l’Illuminismo, a formulare il concetto di senso morale ed a rivoluzionare anche il concetto di etica. Uno dei più importanti rappresentanti dell’Illuminismo fu il filosofo tedesco Immanuel Kant (1724-1804), che evidenzia l’autonomia della sfera etica rispetto alla dimensione conoscitiva, il concetto di libertà come dimensione etica fondamentale, il concetto di una natura umana positiva. Il pensiero kantiano approfondisce, tra l’altro, anche gli aspetti della legge morale, della sua universalità, che si esprime nel dovere. In particolare, Kant tenta di definire i presupposti razionali dell’agire umano, richiamandosi alla necessità di un’etica svincolata da finalità esteriori, impostata su un rigoroso senso del dovere e del rispetto della libertà altrui.

Il pensiero filosofico del XVIII sec., invece, lega l’etica alla dimensione storica, individuando anche differenti concetti di bene. Il filosofo tedesco Georg Wilhelm Friedrich Hegel (1770-1831) introduce il concetto di Stato come piena realizzazione del bene, presupposto per una dimensione etica.

Il filosofo tedesco Karl Heinrich Marx (1818-1883) lancia l’idea utilitaristica dell’etica, sostenendo che la dimensione storica determina e condiziona quella etica.

A partire dal XVIII sec. fino ai giorni nostri si susseguono numerosi pensieri filosofici in tema di etica, taluni di matrice utilitaristica, altri invece di matrice altruistica e disinteressata.

In tema di etica, non fanno testo ovviamente gli indirizzi dei regimi totalitari, come furono nel secolo scorso il comunismo, il nazismo, il fascismo, il franchismo, nei quali, come ribadisce il Führer Adolf Hitler (1889-1945), «lo Stato totale non tollera differenze tra diritto e morale».

Nel pensiero filosofico del secolo scorso si sono sviluppate due nuove visioni di etica, peraltro non ancora ben definite nelle loro linee fondamentali:

  • l’idea dell’etica normativa, che si occupa dei principi e dei valori che guidano l’agire umano;
  • l’idea dell’etica applicativa, che si occupa dell’applicabilità a settori specifici delle teorie etiche e delle conseguenze pratiche che può avere l’agire umano nei vari campi.

Etica cristiana ed etica laica

Da più fonti letterarie, l’etica è stata definita come un sistema di valori dettati da particolari standard, ispirati a fattori religiosi, culturali, sociali, filosofici, attraverso cui si valutano i comportamenti propri e di altri, valori che possono derivare dalla famiglia, dalla religione, dalla scuola, dalla comunità di appartenenza.

Secondo le stesse fonti, l’etica si fonda su una sorta di sentire etico individuale, ethos, ed ha capacità prescrittiva per tutti, anche se non tutti, per limiti della loro consapevolezza o per scelta subconscia, sono capaci di percepirla pienamente e nello stesso modo.

Va detto che i valori etici trasmessi agli individui dalla famiglia, dalla religione o dalle istituzioni, si rivelano spesso insufficienti per affrontare le complessità e le difficoltà della vita moderna, per cui è opinione diffusa tra gli studiosi che l’etica dovrebbe costituire materia di insegnamento nelle scuole di ogni ordine e grado.

In linea generale, si deve convenire sul fatto che l’etica investe ogni aspetto della vita civile e che, ai nostri giorni, non è concepibile una vita civile senza etica, per cui tale suo carattere di generalità rafforza ancor più l’idea che la stessa dovrebbe costituire materia di insegnamento ed essere inserita anche nei piani di studio universitari.

Fatta questa doverosa premessa, occorre chiarire che nella cultura odierna esistono due visioni distinte dell’etica, ovvero si contrappongono due modelli etici di riferimento, che presuppongono due differenti concezioni sul senso dell’esistere umano.

Esiste infatti una concezione etica di radice religiosa ed una concezione etica di radice laica ed entrambe pongono alla base la nozione di bene, e quella contrapposta di male, benché interpretato in modo difforme.

L’etica di radice religiosa si fonda su valori e su norme di comportamento valide per tutti, mentre l’etica di radice laica non si fonda su valori o norme comportamentali predefinite e valide per tutti ma privilegia l’autonomia assoluta dell’individuo.

Nella cultura occidentale, la concezione etica di radice religiosa si incentra soprattutto sull’etica cristiana, che ha come fondamento l’amore verso il prossimo e come fine la salvezza dell’anima. Per etica cristiana stricto sensu si intende la vita in Cristo, partecipata attraverso il battesimo, in virtù del quale il cristiano non appartiene più a se stesso ma a Cristo. All’ampio contesto dell’etica cristiana si affianca l’etica cattolica, sviluppatasi lungo i secoli nella Tradizione, nel Magistero della Chiesa, oggi compendiato nel Concilio Vaticano II e nelle varie Encicliche dei papi che si sono succeduti (Gaudium et Spes, Fides et Ratio, Veritatis Splendor). L’etica cristiana non è suscettibile di cambiamenti, di modificazioni, né tantomeno di trasformazioni per effetto del fluttuare delle tendenze sociali o di sopravvenuto diverso sentire a livello individuale o sociale.

A ben guardare, anche l’etica laica ha una sua peculiarità, quella che presuppone un costante confronto con un sistema di valori universalmente individuati quindi, in pratica, con l’etica di radice religiosa. Il motivo è presto spiegato. Se etica laica vuol dire autonomia assoluta dell’individuo, come detto sopra, non vuol dire però che l’individuo disconosce a priori il complesso dei valori posti dall’etica religiosa, divenuti pressoché patrimonio comune nella società, ma semplicemente che intende discostarsi da qualcuno di essi. Questa sorta di ribellione dell’individuo verso il comune sentire può essere una scelta fissa, come può essere anche una scelta casuale. Nell’uno o nell’altro caso, significa che l’individuo riconosce implicitamente l’esistenza di una sorta di etica generale basata su determinati valori, che è appunto quella religiosa. In buona sostanza, il discostarsi dai valori universalmente individuati non significa la negazione degli stessi ma il riconoscere implicitamente l’esistenza degli stessi. In questo modo si spiega la necessità di un costante confronto degli aderenti all’etica laica con un sistema di valori universalmente individuati, come sopra anticipato.

Ciò detto, si desidera ora mettere l’accento sulle particolarità dei due modelli in questione, quello cristiano e quello laico:

  • -modello cristiano della sacralità della vita;
  • -modello laico della qualità della vita.

Il primo modello, ETV – etica della sacralità della vita, considera che la vita, dal concepimento alla morte, ha una sacralità intrinseca, tale da renderla indisponibile all’intervento umano, e nel contempo afferma che la persona è dotata di una dignità originaria ed inalienabile, che le conferisce un peculiare valore intrinseco. Ne consegue il dovere, sia in campo politico che individuale, di porre al centro dell’attenzione il rispetto della vita e della dignità della persona, costituendo esigenze etiche fondamentali ed elementi propri del bene comune.

Il secondo modello, EQV – etica della qualità della vita, privilegia l’autonomia assoluta dell’individuo, decisore insindacabile di ogni situazione, da cui dipende ogni scelta morale. L’etica della qualità della vita poggia sul «principio dell’utilitarismo», di cui si conoscono tre specie fondamentali:

  • utilitarismo dell’atto, volto a stabilire la cosa più utile in una determinata situazione;
  • utilitarismo della norma, volto a stabilire quale norma è più utile per il maggior numero di persone;
  • utilitarismo generale, volto a stabilire quale cosa procura la maggior felicità al maggior numero di persone.

Da tali assunti si evince che il «principio dell’utilitarismo» pone a fondamento della morale l’utilità e mira esclusivamente all’utile personale o collettivo, per cui considera azione buona quella che procura maggior utile e felicità a se stessi e/o al maggior numero di persone.

In breve, il primo modello ha matrice idealistico-religiosa e, come tale, presuppone norme di comportamento valide per tutti, mentre il secondo modello ha matrice laica e non presuppone norme predeterminate, né tantomeno valori eterni, anzi è aperto verso le singole coscienze umane, fino al punto di riconoscere criteri del tutto soggettivi.

Da quest’ultima specificazione deriva che il secondo modello si identifica nel c.d. relativismo etico, nell’ottica del quale non esiste una verità condivisa sulla natura umana, né tantomeno un’etica condivisa, per cui «ognuno stabilisce secondo criteri propri, individuali, perciò relativi, quali comportamenti siano umani e quali no, quali siano etici e quali no, quali siano giusti e quali ingiusti per se stesso». Inoltre, secondo il modello laico della qualità della vita, non esistono criteri universali per riconoscere il bene e ciò comporta che lo Stato appronti leggi che permettano a ciascuno di optare per un’ampia possibilità di scelte etiche. Di più, in linea di principio, le leggi dello Stato dovrebbero limitarsi a indicare solo le norme volte a non ledere con i propri comportamenti i diritti degli altri. In assenza di leggi, lo Stato dovrebbe garantire a ciascuno di vivere secondo i comportamenti indicati di volta in volta dalla coscienza individuale.

In effetti, ambedue i modelli in questione, quello cristiano della sacralità della vita (ESV) e quello laico della qualità della vita (EQV), riconoscono la coscienza morale e l’etica comportamentale, solo che il primo subordina l’una e l’altra a norme morali predeterminate, mentre il secondo lascia sostanzialmente l’una e l’altra al potere decisionale dei singoli e alla libera interpretazione dei singoli.

In altre parole, il primo modello si basa su un sistema di valori universali, mentre il secondo modello si basa sul relativismo etico e sull’edonismo, che giustificano comportamenti ispirati al principio del piacere e all’utile individuale, quindi volti in particolare: all’assoluta libertà di scelta di volta in volta, a fare ciò che piace o che torna utile, ad evitare obblighi morali di qualsivoglia natura, ad evitare impegni duraturi, ad escludere sanzioni morali di sorta.

Sul primo modello si pone la questione di cosa accadrebbe se, in una data situazione, tutti agissero allo stesso modo, mentre sul secondo modello si pone la questione e il pesante interrogativo di cosa accadrebbe se, in una data situazione, tutti agissero a modo proprio.

A riguardo di dette questioni, autorevoli studiosi ci insegnano che l’esercizio delle libertà individuali e pubbliche, in una società civile a sistema democratico, può essere garantito solo attraverso il rispetto delle norme positive e delle norme morali fondamentali e non attraverso il libertinismo sfrenato dei cittadini.

Anche la conservazione nel tempo della libertà, in una società civile, poggia sulla seria decisione di osservare le norme positive e le norme morali, per cui tutti dovrebbero sentirsi impegnati a compiere il bene proprio non disgiunto da quello altrui, il bene individuale e comune che sono chiamati a compiere, unico bene che eleva noi stessi e tutta la società.

Insomma, è solo attraverso le regole del primo modello che ci assicuriamo la libertà e non certo attraverso l’idea del secondo modello che, in assenza di una comune identità, consente sostanzialmente di poter agire senza limitazioni e quindi di fare ciò che si vuole.

Non c’è poi chi non veda che nella prospettiva del secondo modello l’essere umano finirebbe per perdere il senso del proprio essere e della propria vita, con conseguenze inimmaginabili per l’intera umanità.

Ordine etico e ordine giuridico

Il senso della vita e della giustizia nel sentire umano è percepito in un duplice ordine: etico e giuridico. L’ordine etico costituisce la forza morale dell’uomo, tesa ad evitare il male ed a realizzare il bene in ogni comportamento, mentre l’ordine giuridico è costituito dalle leggi civili, che tendono ad esprimere esplicitamente il diritto e la giustizia.

La persona umana si trova quindi di fronte a norme di carattere etico, che determinano condotte generali preordinate al corretto vivere civile, ordinariamente seguite dalla collettività, ed a norme di carattere giuridico previste dall’ordinamento giuridico, preordinate al buon andamento interno, anch’esse osservate da tutti.

Talvolta, però, l’ordine etico presenta aspetti discordanti con l’ordine giuridico, e viceversa l’ordine giuridico presenta aspetti discordanti con l’ordine etico.

Ed allora, cosa si deve fare quando l’ordine etico richiede comportamenti contrastanti con l’ordine giuridico e, viceversa, quando l’ordine giuridico richiede comportamenti contrastanti con l’ordine etico ?

La risposta a questo interrogativo è duplice, a seconda che si aderisca

all’etica di matrice cristiana

o

all’etica di matrice laica,

etiche che presuppongono due differenti concezioni dell’esistenza umana.

Il principio regolatore per coloro che seguono l’etica di matrice cristiana è quello che «bisogna obbedire a Dio piuttosto che agli uomini», da cui deriva che l’ordine giuridico non è assoluto per l’ordine etico.

Il principio regolatore per coloro che seguono l’etica di matrice laica è quello che l’ordine giuridico è assoluto anche per l’ordine etico.

Se l’ordine giuridico esprimesse norme positive conformi all’ordine etico non si porrebbe alcun problema ma così non è nella realtà, o perlomeno non sempre è così, data la presenza di due differenti visioni etiche, per cui il problema sussiste in tutta la sua imponenza e gravità.

Nell’etica di matrice cristiana, il dilemma se, in caso di contrasto, prevale la norma giuridica o la norma etica viene teorizzato nel seguente ragionamento: posto che il fine ultimo della norma etica è il bene della comunità, una norma giuridica che vada contro tale bene non è propriamente una norma e quindi non ha alcuna vigenza. In linea di principio, quindi, una norma positiva che imponga un comportamento contrario ad una norma etica deve essere disobbedita.

Nell’etica di matrice laica, in caso di contrasto tra norma giuridica e norma etica, in linea di principio, prevale invece il concetto opposto, quello cioè che la norma giuridica deve essere sempre rispettata, anche se sbagliata.

Lo stesso problema si pone, in tutta la sua imponenza e gravità, anche in caso di disposizioni immorali impartite da autorità o da superiori gerarchici. Quindi, in linea di principio, nell’etica di matrice cristiana un ordine immorale va disobbedito, mentre nell’etica di matrice laica la valutazione è lasciata alla coscienza del singolo. Più avanti, si avrà modo di chiarire meglio le due condotte etiche.

L’etica individuale e sociale nel pensiero di Bertrand Russell

In ordine alle tematiche suindicate, sono di alto interesse le riflessioni dello scrittore, filosofo e matematico inglese Bertrand Arthur William Russell (1872-1970), Premio Nobel per la letteratura 1950, di cui si riporta qualche stralcio significativo tratto dall’opera Autorità e individuo.

A riguardo del contrasto tra norma giuridica e norma etica, Russell ha osservato: «per giustificare un’azione che sia illegale occorrono ragioni molto forti che non per giustificarne una che semplicemente contravvenga alla morale convenzionale. La ragione è che il rispetto della legge è una condizione indispensabile dell’esistenza di un qualunque ordine sociale tollerabile. Quando uno ritenga che una certa legge sia cattiva, ha il diritto, e può avere il dovere, di cercare che essa sia cambiata, ma solo in casi rari farà cosa giusta infrangendola. Non nego che vi siano situazioni in cui l’infrazione della legge diventa un dovere: è un dovere quando uno crede profondamente che sia peccato obbedirla. Questo si riferisce, per esempio, al caso di chi solleva un’obiezione di coscienza al servizio di guerra».

In altra parte dell’opera precitata, Russell ritorna sull’argomento precisando che la sfera d’azione individuale degli asceti, dei poeti, degli scopritori scientifici «non deve essere considerata eticamente inferiore a quella del dovere sociale». Quando l’impulso dominante è forte, tali uomini, scrive Russell: «sentono di non poter obbedire all’autorità qualora essa sia contraria a ciò che, nel profondo, essi sentono essere il bene». La posteriorità, afferma Russell, tributerà a tali uomini gli onori più alti, perché sono loro «che portano nel mondo le cose che noi pregiamo di più, non solo nella religione, nell’arte e nella scienza, ma anche nella nostra maniera di sentire nei riguardi del prossimo …».

Nell’opera in questione si legge ancora: «se ho la profonda convinzione di coscienza di dover agire in maniera opposta a quella prescritta dall’autorità, il mio dovere è di seguire la mia convinzione. E, reciprocamente, la società ha il dovere di consentirmi la libertà di seguire le mie convinzioni, se non quando vi siano ragioni fortissime per impedirmelo».

Nel prosieguo della trattazione intorno al tema dell’etica individuale e sociale, esposta da Russell nell’opera Autorità e individuo, si legge: «l’obbedienza alla legge, benché non sia un principio assoluto, è sempre un principio cui si deve dare un gran peso, e al quale si dovrebbe riconoscere la possibilità di eccezioni solo in casi rari e dopo matura considerazione».

Tali problemi, osserva ancora Russell, «ci conducono ad una profonda dualità in etica, dualità che, sebbene sia fonte di molte perplessità, deve essere riconosciuta. In tutta la storia di cui si ha ricordo, le credenze etiche hanno avuto due fonti molto diverse, politica l’una, l’altra riguardante convinzioni personali, religiose e morali … Questa dualità tra morale civica e morale personale, che tuttora persiste, è una cosa di cui ogni teoria etica adeguata deve tener conto. Senza una morale civica le comunità periscono, senza una morale personale la loro sopravvivenza non ha alcun valore. Perciò, la morale civica e quella personale sono egualmente necessarie a un mondo che si possa dir buono».

Sempre con riferimento alla citata profonda dualità, nel suddetta opera Autorità e individuo, Russell scrive ancora: «Socrate e gli apostoli hanno precisato che dobbiamo obbedire a Dio, piuttosto che all’uomo, e i Vangeli prescrivono l’amore di Dio con altrettanta enfasi come l’amore del prossimo. Tutti i grandi capi religiosi, nonché tutti i grandi artisti e autori di grandi scoperte intellettuali, hanno dimostrato di possedere il senso di un dovere morale che li portava a dar soddisfazione ai loro impulsi creativi e un senso di esaltazione morale per il fatto di aver obbedito a quegli impulsi».

Dalle varie riflessioni succitate dello scrittore, filosofo e matematico inglese Bertrand Arthur William Russell emerge chiaramente che non è concepibile una vita civile senza etica ed emerge altresì che esistono due visioni distinte dell’etica, ovvero due modelli etici di riferimento:

  • il primo modello privilegia la coscienza individuale, che deve essere libera da condizionamenti di sorta;
  • il secondo modello privilegia l’osservanza delle norme positive ma non esclude il ricorso alla coscienza individuale.

Il primo modello ha matrice idealistica, mentre il secondo modello ha matrice laica e, nel silenzio della legge, lascia spazio aperto alle coscienze individuali, fino al punto di riconoscere criteri del tutto soggettivi.

Russell apre poi una breve parentesi sugli scrittori, sugli artisti, sugli scienziati in genere, sostenendo essenzialmente che tali persone devono essere libere di scostarsi dalle norme positive o morali quando sentono di agire per il bene comune. Questa bislacca idea di Russell postulerebbe un’ampia dissertazione ma qui ci limitiamo a dire che, grosso modo, può essere condivisibile nella misura in cui siano fatti salvi i valori morali ed i principi universali. Cosa assai rara nella realtà delle cose.

Nella parte finale dell’opera Autorità e individuo, Russell sostiene che occorre incoraggiare la libertà di iniziativa, purché non si riveli dannosa a sé o ad altri, e puntualizza poi: «non faremo un mondo migliore cercando di rendere docili e timidi gli uomini ma incitandoli, invece, a essere coraggiosi, avventurosi e impavidi, tranne che nell’infliggere sofferenze al loro prossimo. Nel mondo in cui ci troviamo a vivere, le possibilità di bene sono quasi illimitate e non lo sono meno le possibilità del male. Il nostro dramma presente è dovuto, più che a ogni altra cosa, al fatto che abbiamo imparato a comprendere e a dominare, in proporzioni spaventose, le forze della natura fuori di noi ma non quelle che si incarnano in noi stessi».

Quest’ultima acuta osservazione di Russell, ed in particolare la parte in cui precisa che non abbiamo imparato a conoscere le forze che si incarnano in noi, è di vastissimo interesse e di pregnanza fondamentale, riferendosi alla propria interiorità e, più specificamente, alla forza dirompente della coscienza individuale.

Vista nella sua essenza, funzione e ampio raggio d’azione, l’interiorità può essere definita come l’espressione autentica e genuina delle istanze più profonde della persona, come una incontenibile e inappellabile potenza interiore che non conosce mediazione alcuna.

Sull’alto valore della propria interiorità, sull’intima riflessione su se stessi, è di particolare incisività il monito di Marco Aurelio (121-180 d.C.): guarda dentro di te, nell’interiorità è la sorgente del bene, ed altresì quello di Sant’Agostino: in interiore homine habitat veritas – nell’interiorità dell’uomo è la verità (La vera religione, 72).

Formazione di una coscienza etica

Da parte dello scrittore Roberto Saviano, l’etica è stata causticamente definita «il limite del perdente, la protezione dello sconfitto, la giustificazione morale per coloro che non sono riusciti a giocarsi tutto per vincere ogni cosa» (Gomorra).

Per nostra fortuna cosi non è, almeno in linea assoluta, ma però questa velenosa definizione di Saviano trova sicuramente non pochi riscontri nella realtà delle cose e quindi ci induce a riflettere ed a porci seriamente la domanda, cos’è l’etica ?

I dizionari la definiscono in genere come «un insieme di principi morali, un sistema di valori morali» ma anche come «studio della moralità degli atti umani e delle regole morali che orientano il comportamento pubblico e privato dei membri appartenenti ad una determinata comunità».

Altre qualificate fonti hanno invece definito l’etica come «una branca della filosofia che studia i fondamenti oggettivi e razionali che permettono di distinguere i comportamenti umani in buoni e giusti, rispetto ai comportamenti cattivi o ingiusti».

In realtà, non disponiamo di una univoca definizione di etica che possa definirsi esaustiva e soddisfacente, sia perché l’etica va considerata sotto molteplici angoli visuali sia anche perché l’etica è in continua evoluzione, in correlazione con l’evolversi della vita umana.

Preso atto di ciò, ci si limita a far presente che, nel pensiero dei più, ogni giudizio etico va contestualizzato nel tempo e nello spazio. Perciò etico diventa ciò che è buono, giusto od equo, in un determinato momento e in un determinato contesto, mentre invece immorale diventa ciò che è cattivo, ingiusto o iniquo, in un determinato momento e contesto.

Ne deriva che una situazione, sotto il profilo etico, non può essere analizzata o valutata in astratto o in via generale, ed altresì ne deriva che il giudizio etico non è più utilizzabile in tempi successivi.

In ambito privato, il comportamento in un determinato rapporto con un’altra persona, sotto il profilo etico, si può considerare giusto o ingiusto in relazione a quella determinata persona e a quel preciso momento storico.

In ambito sociale, per rimarcare l’importanza dell’etica pubblica, monsignor Settimio Cipriani della Facoltà Teologica dell’Italia meridionale di Napoli, ha scritto: «… è inconcepibile che si possa produrre sviluppo sociale, politico, economico, culturale, senza fondamento etico».

Ciò premesso, si tenta ora di teorizzare alcuni archetipi attivi e passivi di condotta etica che, pur nei limiti di cui sopra e pur suscettibili di qualche adattamento nell’uno e nell’altro dei succitati modelli di etica di matrice cristiana e di etica di matrice laica, sembrano di generale rilevanza:

  • programmare il proprio futuro sulla base di scelte etiche;
  • vivere conformemente a valori e ideali morali, assumendosi le relative responsabilità;
  • vivere secondo un modello comune di comportamento fondato sulla normalità;
  • vivere nel rispetto delle leggi e dei principi di lealtà, correttezza, onestà, integrità e buona fede;
  • sviluppare un circolo virtuoso di reciproco rispetto e trasparenza con le istituzioni locali, sociali e politiche;
  • svolgere i propri compiti in famiglia, nel lavoro e nella società, affrontando serenamente i sacrifici derivanti dal proprio status;
  • svolgere il proprio lavoro con onestà intellettuale e spirito di servizio;
  • operare sempre con criteri di correttezza, imparzialità, onestà, integrità, trasparenza;
  • in ogni ambito, seguire le regole generali ed i criteri di condotta voluti dalle norme;
  • in ogni ambito, svolgere la propria attività secondo il rigore professionale e le regole deontologiche di riferimento;
  • in ogni ambito, astenersi da qualunque profitto disonesto, da guadagni illeciti, da interessi disonesti o indecorosi;
  • in ogni ambito, instaurare un clima positivo, corretto e trasparente nei confronti di tutti coloro con cui ci si relaziona;
  • in ogni ambito, impegnarsi a rispettare i diritti umani e a soddisfare le esigenze contingenti;
  • in ogni ambito, evitare di piegarsi ai ricatti;
  • in ogni ambito, evitare di procurarsi raccomandazioni per conseguire vantaggi;
  • in ogni ambito, evitare di chiedere ed accordare a qualcuno privilegi o vantaggi che non siano concessi normalmente anche ad altre persone;
  • in ogni ambito, evitare qualsiasi forma di ingiustizia e di vessazione;
  • in ogni ambito, impegnarsi per il rispetto delle regole e per la tutela della dignità umana;
  • in ogni ambito, evitare ogni discriminazione basata sul sesso, sulla nazionalità, sulla religione, sulle opinioni personali e politiche, sull’età, sulla salute;
  • in ogni ambito, mantenere verso tutti un clima di rispetto della dignità, dell’onore e della reputazione;
  • in ogni ambito, usare un linguaggio onesto ed esplicito, dichiarando, se il caso lo richiede, il proprio pensiero etico;
  • in ogni ambito, tenere un comportamento corretto ed assumere una posizione chiara, forte e decisa, nel fare quello che è giusto.

Ovviamente, non è possibile tracciare un quadro, neppure approssimativo, dei modelli etici attivi e passivi di condotta a valenza generale, per cui quelli sopra riportati non possono che essere meri esempi, che per le ragioni dianzi esposte non vanno presi alla lettera ma adattati ai singoli casi.

È ben vero che ogni situazione postula un giudizio a sé ma è altrettanto vero che il singolo, sia che aderisca all’uno o all’altro dei precitati modelli, etica di matrice cristiana o etica di matrice laica, deve imparare a formarsi una propria coscienza etica ed agire in conformità ad essa.

Tale conclusione sembra condivisa da vari filosofi, letterati e pensatori, tra cui fa spicco il pensiero dell’illustre scrittore statunitense Ernest Miller Hemingway (1899-1961): «riguardo alla morale, per il momento, so soltanto che è morale ciò che mi fa sentire bene e immorale ciò che mi fa sentire male dopo che l’ho fatto».

In ultima analisi, qualora non vengano minimamente scalfiti i sopra citati archetipi attivi e passivi di condotta etica, si può dire che chi si sente in pace con se stesso, chi ha la pace nel cuore, chi ha fatto tutto quel che poteva fare, chi ha fatto tutto quello che era giusto fare, questi ha seguito la propria coscienza etica.

Responsabilità morale

Per indicare che il problema della responsabilità è vecchio quanto il mondo, si cita il pensiero filosofico di Aristotele (ca. 384-322 a.C.), secondo cui si configura responsabilità quando:

  • la causa dell’atto ricade sul singolo;
  • il singolo è cosciente dell’azione che compie;
  • il singolo non è stato costretto da qualcuno ad agire;
  • l’atto non è risultato dall’ignoranza del singolo.

In chiave moderna, nel considerare responsabile chi è chiamato a rispondere, a rendere conto di un’azione propria o altrui, si distingue la responsabilità giuridica e la responsabilità morale.

Si configura come responsabilità giuridica (che può essere civile, penale, amministrativa, contabile, disciplinare) l’inosservanza di regole stabilite da una codificazione giuridica, in un dato momento e contesto sociale, a prescindere dalla volontarietà o meno dell’atto posto in essere.

Ovviamente, la codificazione giuridica rimane del tutto estranea a quel complesso di norme morali che regolano la coscienza individuale e quindi i comportamenti che ricadono sotto il giudizio della stessa non possono che dar luogo a responsabilità morale.

Si configura come responsabilità morale la violazione di un dovere morale o etico che vincola la propria coscienza. Il concetto di responsabilità morale è molto ampio, comprendendo qualunque azione od omissione riprovevole o dannosa, qualunque mancanza di rispetto ai propri doveri, qualunque atto contrario ai principi etici ed umani.

In genere, la responsabilità morale di un fatto o di un avvenimento, intesa come monito ultimo del proprio agire e della propria libertà, si prefigura anche quando l’individuo, pur non essendone stato la causa materiale, ne ha comunque moralmente la colpa.

Nel pensiero moderno, la morale può essere definita come costante ricerca personale dei valori fondamentali, di ciò che è bene fare o non fare, ricerca destinata a comporre un proprio codice di norme comportamentali. L’etica invece può essere definita come dottrina delle regole e dei principi che dovrebbero guidare l’uomo nel riconoscere il giusto e l’ingiusto, il bene e il male, la virtù e il vizio. Gli studiosi di morale comune e di etica sociale fanno notare, in primo luogo, che le azioni dell’uomo saranno buone e degne di approvazione solo se ispirate al sentimento dell’onesto, sia per la coscienza del soggetto agente sia per il giudizio degli altri.

Va detto che molte forme di responsabilità morale derivano dall’inosservanza dei doveri e dei principi posti dal diritto naturale, quale sorta di «legalismo» dettato dall’ordine naturale delle cose che, per i suoi stessi peculiari caratteri, «non può sottendere sanzioni esteriori di sorta ma solo il comune senso di riprovazione e quello dettato dall’umana coscienza». Secondo gli esegeti, ciò rientra nell’ordine delle cose e finisce per determinare la netta differenza tra la norma morale e la norma giuridica:

  • la norma morale poggia su un giudizio o una valutazione individuale, mentre la norma giuridica poggia su una volizione o un comando;
  • nella morale è prevalente il fine identificato nell’idea del bene, mentre nella norma giuridica la finalità varia o è addirittura assente;
  • la norma morale nasce dal soggetto e vale solo per lui, mentre la norma giuridica è eteronoma e riguarda solo le manifestazioni esterne del soggetto;
  • l’imperativo della morale investe tutto il soggetto nelle sue intenzioni ed azioni, mentre l’imperativo giuridico si limita alle sue azioni;
  • la norma morale ha come legislatore e soggetto lo stesso individuo, mentre la norma giuridica ha come legislatore un soggetto diverso dall’individuo;
  • la norma morale ha una sanzione interna al soggetto, mentre la norma giuridica ha una sanzione esterna e materiale.

Si accenna ora ad alcune situazioni in cui potrebbero delinearsi ipotesi di responsabilità morale

  • tenere rapporti scorretti con qualcuno, anche se giuridicamente ineccepibili, al fine di trarne il proprio bel vantaggio;
  • cercarsi un alibi, ovvero un’esimente per sfuggire alle proprie responsabilità, quando siamo pienamente responsabili di un fatto o di un avvenimento;
  • negare la propria colpa quando è dimostrata dalla stessa evidenza;
  • fare una cosa disonesta, indegna, ignobile o indecente, tentando di disconoscerla, di occultarla o di addossare ad altri la colpa;
  • svolgere il proprio lavoro in modo disonesto, sbagliato o scorretto, sapendo di non essere scoperti;
  • agire con disonestà di pensieri, di idee o di propositi, al fine di trarre il proprio bel tornaconto;
  • dare un parere o un consiglio fraudolento o interessato a qualcuno, enfatizzando gli aspetti positivi e sottacendo quelli negativi;
  • non mantenere la promessa fatta, sulla quale altri hanno fatto affidamento per regolare i propri interessi;
  • cercare di conseguire vantaggi approfittando delle altrui sventure;
  • cercare di svincolare da una situazione imposta da un obbligo morale o da norme comportamentali, specie quando le conseguenze siano gravi o particolarmente pesanti;
  • richiedere ai propri amici cose disoneste, approfittando del rapporto di amicizia, al fine di conseguire illeciti vantaggi;
  • porre in essere azioni che, pur non proibite dalla legge, risultano contro il diritto naturale o contro principi morali;
  • assumere un obbligo morale, con la riserva mentale di non tenere fede all’impegno assunto;
  • chiedere a prestito qualcosa, sulla base di un accordo verbale, con la riserva mentale di non restituire ai legittimi proprietari gli oggetti materiali o il denaro ricevuto;
  • non rispettare l’impegno morale assunto di mantenere il segreto su fatti o cose che, per ragioni di riservatezza, per fatto d’ufficio o per altro motivo, non possono essere rivelate e rese pubbliche;
  • non onorare l’impegno morale assunto, in presenza o meno di testimoni, di far rispettare una volontà testamentaria espressa oralmente.

Queste non sono che mere esemplificazioni di possibili comportamenti umani in cui possono configurarsi responsabilità morali ma se ne potrebbero aggiungere innumerevoli altre. Invero, le ipotesi di responsabilità morale sono tali e tante quante sono le azioni umane, impossibile da enumerare come le stelle del firmamento.

A chi ha assunto comportamenti tali da configurare responsabilità morale si desidera ricordare che, non potendo riparare in qualche modo il male morale cagionato a qualcuno, ha sempre aperta la strada del ravvedimento operoso, ossia può sempre compiere una corrispondente azione di bene che, nei limiti del possibile, annulli gli effetti del male.

Etica comportamentale

In tema di etica comportamentale, la filosofia platonica individua quattro virtù fondamentali: prudenza, intesa come capacità di distinguere il bene dal male e il vero dal falso; giustizia, intesa come volontà di dare a ognuno ciò che è dovuto; fortezza, intesa come capacita di resistere alle avversità; temperanza, intesa come capacità di conoscere i propri limiti e di avere equilibrio nell’uso dei beni.

In filosofia, l’etica comportamentale si suole spiegare come studio della moralità degli atti umani.

In linea generale, si può definire etica comportamentale il complesso dei valori e dei principi di comportamento, pubblico e privato, che una persona o un gruppo di persone scelgono e seguono.

Nelle complessità della vita dei nostri giorni, è sempre più sentita la necessità di recuperare una stretta relazione tra essere e dover essere, tra comportamenti e principi etici, tra scienza e etica.

Si distingue tra:

  • etica di pensiero, che si può notare in ogni nostra manifestazione di volontà e in ogni atteggiamento, anche in quelli più insignificanti;
  • etica comportamentale, che si può notare in ogni nostra azione, specie nelle situazioni delicate, ed è foriera di conseguenze che possono riflettersi non solo sulla nostra vita ma, soprattutto, su quella degli altri.

Si ritiene che in una società impostata su sani principi, non si possa prescindere da un’etica di pensiero e di comportamento, quale prerequisito da considerarsi inderogabile specie per le persone che abbiano il compito di svolgere funzioni di elevata responsabilità o di particolare considerazione.

Nella realtà odierna, è sconfortante dover constatare come l’etica comportamentale sia pressoché sconosciuta da taluni, come confermano anche le cronache quotidiane, mentre da altri sia finanche irrisa, specie da chi, in campo pubblico o privato, agisce a dispetto delle regole e dei principi del giusto operare, della correttezza o del senso di responsabilità.

La mancanza o carenza di etica, fenomeno diffuso a tutti i livelli, squalifica la reputazione della persona, sia che essa assuma comportamenti contro le regole, sia che tenga condotte dettate dalla furbizia, che operi slealmente o in modo non trasparente, che manchi di coerenza tra quello che dice e quello che fa, etc.

Come detto sopra, per prevenire o quantomeno attenuare il diffondersi di detti comportamenti eticamente scorretti, a livello individuale, professionale e sociale, l’etica dovrebbe costituire materia di insegnamento nelle scuole di ogni ordine e grado. Ma poi per fare un vero salto di qualità occorre che la materia dell’etica venga inserita nei piani di studio universitari.

Per sperare in un cambiamento radicale non è sufficiente che l’etica venga a costituire materia di insegnamento scolastico ma occorre anche che ognuno, attraverso un’educazione all’etica, elevi la consapevolezza culturale della propria coscienza ed altresì, sul piano pratico, che faccia il massimo sforzo per agire in modo socialmente qualificato.

Si ritiene peraltro che i più validi presupposti per un’educazione all’etica siano le risorse spirituali e intellettuali, proprie di ciascuna persona, risorse che hanno un valore incommensurabile e che, se sfruttate nel giusto modo, consentono di disimpegnarsi in modo etico anche nelle situazioni più difficili.

Un esempio di comportamento negativo, ma se ne potrebbero fare tanti, è quello di colui che fa beneficenza (mosso da ragioni umanitarie, dalla propria coscienza o da fini religiosi) e tale suo gesto lo sparge ai quattro venti, cioè lo fa sapere a tutti. Così facendo viene meno l’etica comportamentale del beneficiario in quanto la beneficenza si fa’ ma non si dice. Se il beneficiario è una persona raffinata rimane anonimo anche per il beneficiato, mentre se è una persona di modi grossolani non avverte tale delicatezza ed il suo gesto vale meno, in quanto non rivela modestia d’animo e purezza di intenti. Secondo un vecchio detto popolare, «le buone azioni parlano da sole e il bene vero è quello fatto in silenzio».

Un altro esempio di comportamento negativo è la beneficenza fatta dal politico o dal potente con la mano del potere, cioè da colui che, trovandosi in posizione di supremazia, approfitta di una condizione di bisogno per crearsi notorietà o per istituire un rapporto servile. Un simile gesto di beneficenza interessata, cioè fatta in vista di un tornaconto elettorale o posta in essere in un rapporto di clientela o in un sentimento di obbligazione, potrebbe anche rivelarsi una vera e propria forma di violenza morale, specie se la «beneficenza» viene resa pubblica.

Che dire poi di quell’infinita serie di «benefici», quali finanziamenti, posti di lavoro, avanzamenti in carriera, privilegi, etc., concessi e accettati per ragioni di interesse, cioè di tutte quelle situazioni in cui si crea una forma di «riconoscenza» che si sostanzia in eterna dedizione e fedeltà verso il «benefattore» ?

I comuni principi di etica, oltre a doti di correttezza ed onestà, postulano senso del dovere, senso di responsabilità, rispetto delle autorità, rispetto dei diritti di altri, obbedienza alle leggi, mantenimento dell’ordine naturale, ed altresì comportamenti rispettosi della persona umana, oltre che maturi e intelligenti.

Un importante principio etico-comportamentale è quello della coerenza tra quello che si dice e quello che si fa, coerenza nel proprio modo di essere, nei rapporti con gli altri, in famiglia, con gli amici, con le istituzioni.

L’etica comportamentale impone di fare le cose bene e secondo coscienza, di metterci impegno e passione in quello che si fa. In genere, chi agisce con questo spirito prova un senso di gratificazione ad opera compiuta, mentre chi agisce di malavoglia, nell’indifferenza, si infastidisce per ogni nonnulla e si annoia.

Ma c’è anche una parte di persone senza scrupoli che, al di là dell’etica, forte della propria posizione economica, mira solo al successo personale, mentre un’altra parte, forte delle conoscenze in campo politico o economico, mira solo all’occupazione di cariche sempre più elevate, indipendentemente dal merito e dalle qualità personali. Il comportamento di tali persone è sicuramente condannabile ma ancor più condannabile è quello di chi lo sostiene e lo asseconda per scopi elettorali, clientelari, partitici, economici, etc. Gli incarichi importanti dovrebbero essere affidati solo alle persone capaci, di valore, di indiscussa professionalità e onestà, perché solo in questo modo si potrà avere un ritorno in termini di efficienza, di corretto e buon andamento dei pubblici servizi.

In linea generale, sono comportamenti contrari ai principi etici e quindi da evitare i seguenti:

  • agire e pensare solo a se stessi, a salvare i propri interessi e la propria immagine, a danno di altri;
  • promettere quello che non si può mantenere;
  • favorire il raccomandato anziché agire con correttezza e onestà;
  • pagare in nero anziché dietro fattura;
  • dichiarare solo parte dei propri redditi;
  • far finta di lavorare anziché darsi da fare con impegno e onestà;
  • amministrare la res publica in modo iniquo o disonesto;
  • omettere di denunciare le irregolarità e/o le illiceità delle pubbliche istituzioni, etc.

Oggigiorno, si nota un progressivo deterioramento dei comportamenti privati e, nel contempo, si nota uno sfacelo dell’etica pubblica, ad iniziare dalla corruzione, per non parlare del malaffare e del grosso problema del conflitto di interessi, che imperversa negli ambienti istituzionali. In particolare, il fenomeno della corruzione è diffuso ad ogni livello, al punto da essere classificato fra i più rilevanti nei Paesi occidentali.

Torna utile rinviare a quanto già affermato al Capitolo II, ove si evidenzia che, per un cambio radicale, serve una maturazione culturale di lungo respiro, che dovrà coinvolgere almeno quattro future generazioni, ma tuttavia è fin da subito indispensabile un grande sforzo etico da parte di tutti.

Se si vuole evitare il peggio, i singoli devono impegnarsi a fondo per correggere le proprie condotte e le istituzioni devono trovare al più presto gli opportuni rimedi e i necessari punti di equilibrio per la tutela degli interessi generali. È necessaria una grande mobilitazione collettiva, un impegno di massa in un’opera di educazione e di elevazione culturale, in particolare dei giovani, servono utili iniziative volte a rigenerare e rafforzare il senso delle istituzioni, il rispetto della legge, fino all’idea dell’abnegazione personale per privilegiare il bene comunitario.

Nella prospettiva di una elevazione sociale e culturale, occorre richiamare il disposto di cui all’art. 54, primo comma, della Costituzione, in base al quale «tutti i cittadini hanno il dovere di essere fedeli alla Repubblica e di osservarne la Costituzione e le leggi». In relazione a tale dettato costituzionale, ognuno dovrebbe imparare ad interrogarsi, per la propria parte di responsabilità, non solo sull’effettiva osservanza delle leggi, ma anche sull’effettiva osservanza dei doveri personali verso la società, sull’eticità dei propri comportamenti e sull’eticità delle proprie scelte.

Chi ricopre incarichi rappresentativi ed elettivi, secondo il disposto dell’art. 54, secondo comma, della Costituzione, deve sottostare ad un ulteriore dovere: «i cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina ed onore, prestando giuramento nei casi stabiliti dalla legge». In relazione a tale dettato costituzionale, i cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche devono imparare ad interrogarsi non solo sull’effettiva osservanza delle leggi, ma anche sul retto e probo assolvimento delle funzioni loro affidate, nonché sull’obbligo di etica pubblica e di lealtà verso le istituzioni che incombe pesantemente su di loro.

Si ha ragione di ritenere che i cittadini chiamati a svolgere funzioni di elevata responsabilità o di particolare considerazione debbano essere di esempio a tutti gli altri, nell’etica di pensiero e di comportamento, sia nella vita privata che nella vita pubblica.

È ben vero che i difetti e le imperfezioni accompagnano ogni essere umano, ma è altrettanto vero però che se ognuno si impegna ad improntare i propri comportamenti secondo principi etici può contribuire a correggere se stesso ed a migliorare la convivenza sociale.

Crisi di valori e possibili rimedi

Non c’è chi non veda che la crisi attuale non è solo crisi finanziaria ma è anche «crisi di valori» della nostra società, conseguente ad una venuta meno dei principi, dei comportamenti etici e degli obblighi morali.

Si nota infatti che nelle persone tende a venir meno il senso di responsabilità nei confronti della vita e degli altri e questo, di riflesso, comporta il rallentamento dello sviluppo, nonché il venir meno delle possibilità di lavoro e delle risorse sociali in genere.

Occorre quindi una rinnovata volontà di credere nei valori morali e di ristabilire comportamenti etici da parte di tutti, non solo dei singoli ma anche delle pubbliche istituzioni, chiamate a fare la loro parte per avviare un processo generale di cambiamento.

L’importante trattato di Lisbona del dicembre 2009, che rafforza la Carta dei diritti fondamentali, rimane privo di efficacia se l’Unione Europea e le pubbliche istituzioni non si adoperano fattivamente per far si che abbia pratica attuazione, quale premessa per assicurare alle persone il diritto di vivere una vita civile e dignitosa. Se le pubbliche istituzioni non si impegnano in tal senso si accredita l’idea del re di Prussia Federico II di Hohenzollern (detto Friedrich der Große – Federico il Grande, 1712-1786) secondo cui: «i trattati sono soltanto giuramenti dell’inganno e dell’infedeltà».

Un primo passo da fare in questa direzione è senz’altro quello di puntare sull’istruzione e sulla formazione scolastica, in modo che le nuove generazioni vengano ad assumere comportamenti eticamente e moralmente più corretti, nella prospettiva di una società ispirata a principi di democrazia, equità e giustizia sociale.

L’interiorizzazione di norme etiche fin da adolescenti, e il conseguimento di una buona formazione culturale e morale da parte dei giovani, è sicura garanzia di miglioramento delle condizioni di vita, in quanto è destinata a influenzare, secondo principi etici, le scelte e le decisioni individuali che nel corso della vita ognuno è chiamato a fare.

Secondo recenti studi sui fenomeni sociali, l’acquisizione di una buona istruzione generale, accompagnata da una giusta educazione civica e da un bagaglio di norme etiche, è sicura garanzia di successo nella vita e di crescita economica ed inoltre contribuisce a ridurre le tensioni sociali causate dalle ineguaglianze nella distribuzione della ricchezza.

Con un’azione di questo tipo, cioè elevando la cultura generale e diffondendo nelle nuove generazioni l’importanza dell’etica e dell’educazione civica, già a partire dall’istruzione primaria, si potrà superare anche quella «crisi di valori», di cui si è detto poc’anzi, che sta lacerando la società civile e politica, e si potranno indurre spontaneamente i singoli al rispetto rigoroso dei comportamenti etici, sia a livello individuale che sociale.

Un secondo passo da fare nella direzione precitata è quello di ricostruire il rapporto fra etica ed azione pubblica, creando le premesse in cui possano trovare sostanza e garanzia di applicazione i valori etici, oltre ai principi della giustizia sociale e dell’equità, ponendo in primo piano il principio della trasparenza in ogni scelta pubblica.

Quello dell’azione politica è un campo nel quale l’apporto dell’etica è indispensabile, un campo in cui dovrebbero dominare incontrastati precisi e condivisi criteri decisionali, unitamente a valori etici, giustizia distributiva, equità sociale, criteri tesi a guidare tutte le scelte politiche e amministrative, mentre invece nella realtà tutto è lasciato al caso e all’improvvisazione, con le conseguenze che sono sotto gli occhi di tutti.

Il politico di sana formazione, come del resto il singolo, non dovrebbe perdere di mira i valori tradizionali e, nel contempo, non dovrebbe discostarsi dal proprio ethos, né tanto meno dall’etica, intesa come moralità di vita e degli atti umani. Insomma il politico dovrebbe essere un modello di virtù ed avere una disposizione d’animo che lo spinga a praticare e perseguire costantemente il bene, tanto nella vita pubblica, quanto in quella privata.

Un terzo passo da fare nella direzione precitata è quello dell’etica professionale, della deontologia, ossia dell’attività intellettuale o manuale svolta abitualmente a scopo di guadagno, attività soggetta ad un insieme di regole e di comportamenti che delimitano il potere del libero professionista. Si parla di etica professionale del medico, dell’avvocato, del giornalista, dell’insegnante, etc., soggetti tenuti alla rigorosa osservanza delle regole di comportamento che la professione esige, sotto pena di sanzioni previste dalla legge e/o di censure ordinate dal competente ordine professionale.

In realtà, in ben pochi casi siamo in grado di verificare se le regole comportamentali e quelle della deontologia professionale sono effettivamente rispettate. La società del permissivismo e del lassismo in cui ci ritroviamo tende ad attenuare il rigore delle leggi, dando ad esse le più ampie interpretazioni possibili, tendenza che non è certo condivisibile e che occorre arrestare al più presto se si vuole evitare il peggio.

Si ha ragione di ritenere che, oggi, le sanzioni e le censure siano più minacciate che comminate, per cui il maggior numero di comportamenti contrari alle regole e alla deontologia professionale rimangono impuniti.

In questo modo viene tra l’altro snaturato il senso del diritto – quale strumento posto a tutela dei diritti e dei doveri – proprio da coloro, i liberi professionisti, che per primi dovrebbero essere esempio di virtù.

Un quarto passo da fare nella direzione precitata è quello del ripristino dell’etica politica, oggi assopita se non assente. Assodato che ogni ordine di operatori è assoggettato a regole comportamentali, anche se vengono poi scarsamente applicate, viene spontaneo chiedersi come mai i politici non intendono darsi regole comportamentali ? Come mai i partiti, specie quelli che ne portano la bandiera o che ostentano valori ad ogni soffiar di vento, non propongono l’adozione del codice etico di condotta politica, come suggerito dal Congresso dei Poteri Locali e Regionali del Consiglio d’Europa ed auspicato dal Ministero dell’Interno, nel testo presentato a Roma il 27 febbraio 2004 ?

Insomma, perché i partiti pretendono di amministrare le res publica in assenza di regole di condotta politica ?

È facile dedurre che la classe politica è ostile ad ogni regola di condotta, cerca di sottrarsi, preferendo operare liberamente, senza vincoli, limiti, condizioni, controlli. Una simile classe politica non può che avere natura oscura e mutevole.

In assenza di regole, i singoli politici sono portati ben presto ad assumere identità satanica e spirito egoarchico, convinti come sono di potersi erigere al di sopra della morale comune. I politici senza regole sono poi inclini a divenire dominatori, accentratori, aggressivi, individualisti, perversioni queste che divengono paradossalmente «attitudini» per fare strada politica ed essere ancora nuovamente votati.

Non c’è quindi da meravigliarsi se i politici assumono eccentrici contegni, se abusino del loro potere, se si diano da fare solo a parole, tradendo così le aspettative degli elettori. Peccato che questi ultimi, al momento di rinnovare la fiducia a simili politici, per viltà, per paura o per interesse, non abbiano il coraggio di negare il proprio voto.

Il fatto che la classe politica non senta il dovere di assoggettarsi a prefissate regole di condotta dimostra mancanza di etica politica, di disciplina morale e di valori. Ed una classe politica priva di etica e di valori è marcia e non merita certamente fiducia, quindi va rimossa al più presto per il bene del Paese.